Il pane perduto di Edith Bruck

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Articolo aggiornato giorno 29 Marzo 2024

Il pane perduto di Edith Bruck, edito da La nave di Teseo e pubblicato il 21 gennaio del 2021. Composto da 128 pagine.

Il pane perduto: la recensione

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Il pane perduto, racconta la vita tragica e particolare dell’autrice: una ragazzina ungherese degli anni ’40 che venne deportata nel campo di sterminio di Aushwitz in quanto ebrea ungherese, ma riuscì a salvarsi. L’orrore, vissuto attraverso la sua pelle in prima persona, condizionò tutta la sua vita. Edith decise di scrivere, tutto ciò che aveva affrontato e visto, dalla deportazione al campo di concentramento, a dopo quando tutti con lo sbarco degli alleati americani, volevano solo ricominciare a vivere cancellando le atroci e disumane conseguenze che la guerra aveva portato. In una terra, in cui si sentiva sconosciuta Edith insieme alla sorella cercheranno di continuare la vita, che avevano lasciato, ma il passato non ti restituisce il tempo perso, così comincia l’avventura di una donna che cerca solo di trovare il suo posto nel mondo.

Ungheria, anni ‘40. Edith, fino ad allora conduceva una la vita normale. Era una ragazzina che amava scrivere e andare a scuola, infatti era la più brava della classe. Non poteva mai immaginarsi che da lì a poco sarebbe diventata la protagonista “della storia nella storia”. Le cose cambiano: mentre torna da scuola dei ragazzi più grandi si prendono beffa di lei, poiché è un’ebrea. Entrata in casa si rivolgerà alla madre chiedendogli spiegazioni per il gesto di quei ragazzi. Non comprende perché essendo lei anche ungherese come loro debba subire degli insulti che la umiliano. Bandite le “leggi razziali”, Edith e la sua famiglia devono lasciare la casa appena ristrutturata con tanti sacrifici per approdare in un ghetto, una soluzione provvisoria poiché poco dopo un treno li avrebbe portati ad Auschwitz.

Arrivò il giorno in cui si aprirono con un rumore lacerante i vagoni per il bestiame, e la mandria umana venne spinta dentro con violenza”. Era cominciata la “marcia della morte”, in cui molti non sarebbero giunti a destinazione, poiché morti durante il viaggio per le condizioni malsane in cui stavano, altri sarebbero morti subito dopo essere arrivati nel campo. Al campo veniva divisi: i vecchi e i malati venivano condotti nelle docce (camere a gas), i neonati bruciati dentro i forni crematori, donne e uomini in buona salute, venivano stipati in dei capannoni, malsani in cui non c’era neanche lo spazio per respirare. Marchiati come bestie che vanno al macello, da esseri umani, diventato numeri.

Edith sopravvive agli orrori dei campi di concentramento nei quali viene spostata: Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Da quell’inferno, ne uscirà viva con la sorella. Tornati a casa, con l’illusione di essere accolte calorosamente, troveranno solo macerie e profonda ostilità da parte dei suoi fratelli. La presenza di due figure: Edith e la sorella, fantasmi, scheletri agli occhi del mondo che li vede come esseri sbarcati da un altro pianeta sconosciuto.

Così la decisione di Edith e di trasferirsi con la sorella in Israele, insieme ai compagni dei lager, ma in una città che si sta componendo tassello, dopo tassello, non riesce a trovare il suo posto. Insegue un dei sogni da bambina quello di diventare ballerina, inserendosi in una compagnia di ballo in Svizzera, ma più di tutti il suo desiderio è quello di scrivere. Infatti diventa realtà quando Edith si trasferisce a Roma, diventata per lei una mamma adottiva, l’Italia, la patria, a cui deve tutto, che gli ha donato molto di più di un pezzo di pane quotidiano.

L’ultimo capitolo del libro Bruck, la dedica a Dio, scrivendo una lettera, in cui non è presente ne rabbia, ne rancore, ma solo un piccolo desiderio: donarle l’opportunità di un po’ di tempo in più per permetterle di educare le giovani coscienze, che si formano tra scuola e università, allo scopo che diventino strumento per salvare il mondo dal terrore che lo sta ancora attaccando.
Il pane perduto. Edith Bruck, ci spiega, che essere uscita viva, anche se profondamente cambiata, nell’anima come nel corpo la portò a fare una scelta, ma anche a mantenere una promessa fatta a se stessa, e al suo popolo: mettere su carta ciò che in realtà aveva vissuto, non per suscitare sgomento è disgusto per i momenti forti e raccapriccianti che ha affrontato, ma per sensibilizzare la gente, affinché non dimentichino che ciò che leggeranno, non è fantasia, non sono racconti immaginari, ma sono azioni compiute da menti malate ed ignoranti che perseguivano un ideale folle. Tutti dobbiamo ricordare per fare delle scelte consapevoli e responsabili, poiché il futuro è nelle nostre mani, la storia ci insegna che gli errori e orrori, del passato devono essere ricordati ma non ripetuti.

Un libro, che racconta, anche del dopo, basato sulla rinascita di una sopravvissuta, che adesso ha l’opportunità di vivere la vita che desiderava, senza dimenticare che in cui campi ha lasciato un pezzo di lei che vivrà fino a quando non si congederà da questa terra. La voglia di ritornare a sorridere, di gioire per essere stata scelta come messaggera della storia, ma anche il forte senso di colpa che la porta a non capire perché si sia salvata lei al posto di un’altra. La risposta che si darà è che ciò che ha visto è subito, fa parte un passato che deve essere ricordato, poiché vero. Memorie, da non dimenticare, rappresentati da volti e nomi sconosciuti che attraverso il libro ritornano ad avere quella dignità che gli è stata rubata ingiustamente.

L’autobiografia è Vincitrice del Premio Strega Giovani 2021 – Finalista al Premio Strega 2021 – Vincitore della 92/a edizione del Premio Viareggio-Rèpaci Sezione Narrativa.

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