Tempo di uccidere

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Articolo aggiornato giorno 7 Marzo 2016

Tempo di uccidere è il titolo del romanzo di Ennio Flaiano, scritto nel 1946 e pubblicato per l’editore Leo Longanesi nel 1947 vincendo, nel luglio dello stesso anno, la prima edizione del Premio Strega. L’opera fu favorevolmente accolta sia dal pubblico che dalla critica, un successo dal quale, incomprensibilmente, l’autore sembrerà poi prendere le distanze.

Un unicum nella sua produzione, di assoluta originalità anche a dispetto del panorama narrativo coevo, prevalentemente neorealistico, che esprime un forte carattere onirico e surreale. Ambientato nell’Etiopia occupata dagli italiani negli anni Trenta, Tempo di uccidere è la narrazione in prima persona delle vicissitudini di un tenente italiano, un’avventura non eroica la cui trama prende avvio da un banalissimo mal di denti che, sommato alla necessità di curarlo e all’incidente con un autocarro, conducono il tenente a vagare, perdendosi, fino all’incontro con una donna del luogo di nome Mariam.

Il tenente costringe l’indigena ad avere rapporti sessuali con lui; i due non sembrano affatto intendersi, ma la donna non fugge, gli rimane accanto, lo nutre, lo accudisce. Un incontro che termina in tragedia quando, durante la notte, lui le spara credendo di essere attaccato da un animale: Mariam è ferita ma il tenente, certo che la donna non avrebbe avuto scampo, decide di ucciderla, forse per il timore di essere scoperto. Da quel momento, il tormento provocato dal senso di colpa, il terrore di aver contratto la lebbra e la convinzione di essere giustiziato dal tribunale militare lo accompagneranno, senza possibilità di fuga, facendolo tornare periodicamente sul luogo del delitto. Decisivo sarà il vecchio Johannes, forse il padre della giovane nativa, che cura la malattia del tenente ospitandolo nella sua capanna per quaranta giorni.

Finita la convalescenza, torna all’accampamento e la vicenda sembra giungere ad un’improvvisa e inaspettata risoluzione che vede l’uscita di scena del tenente, accompagnato da un sottotenente, rimasto sostanzialmente indifferente davanti alla confessione dei crimini compiuti.

L’anonimo tenente non rappresenta certo la figura di un prode giovane combattente pronto al sacrificio, o ad ottemperare onore e carriera per mantenere fede ai propri valori (nell’ipotesi che ne sia provvisto); è un inetto, costantemente pervaso dal dubbio e dall’incertezza, stati che gli impediscono di risolvere gli errori commessi durante tutto l’arco della sua travagliata avventura, preservando la sua natura di eterno indeciso. Tradisce la moglie, figura dal tratto evanescente, senza nome ma identificata con un semplice pronome relativo (Lei), per soddisfare la sua libido repressa in quel luogo ove tutto è concesso, dove la virilità dell’uomo trova conferma e legittimazione nel possedere sessualmente le giovani donne africane.

Mariam è la rappresentante femminile che, in Tempo di uccidere, incarna tutti i caratteri della donna-schiava, costretta ad assecondare i desideri dell’uomo bianco-conquistatore. La presenza di Mariam è connotata dal fazzoletto bianco che le avvolge il capo, senza il quale il tenente non l’avrebbe notata. Il turbante dunque, è l’elemento che la caratterizza, conferendole un tocco di umanità.

Flaiano trae spunto da un’esperienza da lui vissuta in prima persona; infatti era stato in Etiopia proprio tra l’autunno del 1935 e la primavera del ‘36 come sottotenente dell’esercito italiano: conosceva bene quei luoghi e li ha saputi descrivere magistralmente seppur con una vena realistica.

Tempo di uccidere resta un testo che difficilmente può essere ricondotto ad una precisa catalogazione a causa della sua complessità; tuttavia, sostenere che non si tratti né di un romanzo prettamente realista né storico, non significa escludere la sua effettiva pertinenza ad una, benché velata, critica al Fascismo.

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Arundina
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