Tempi Glaciali di Fred Vargas

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Articolo aggiornato giorno 19 Giugno 2018

Dopo qualche anno di silenzio (l’ultimo romanzo era del 2011) torna nelle librerie Fred Vargas, archeologa e medievista francese, con questo suo Tempi Glaciali, nuovo capitolo della serie del commissario Adamsberg.

Tempi Glaciali: la recensione

Come detto, nuovo caso per Adamsberg e per la sua sgangherata squadra del tredicesimo arrondissement di Parigi, tutti impegnati nella soluzione di due apparenti casi di suicidio. Prima una signora (Alice Gauthier) trovata con i polsi tagliati nella sua vasca da bagno, poi un facoltoso signore (Henri Masfauré, al cui figlio la signora Gauthier aveva indirizzato una lettera qualche giorno prima di morire), uccisosi con la propria arma da fuoco nella sua villa.

Quello che però salta subito all’occhio del capitano Danglard, braccio destro di Adamsberg, è un segno, un simbolo (forse una firma?) su entrambe le scene: un sorta di ghigliottina stilizzata e barrata con un secco tratto obliquo. Questo è un dettaglio che fa quasi subito decadere l’ipotesi del suicidio e fa propendere tutti (in primis lo stesso Adamsberg), per casi di omicidio.

Sulla scorta di questi e altri dettagli le indagini si orienteranno ben presto verso due piste geograficamente distanti ma decisamente intrecciate: la prima porta su un’isoletta islandese, oggetto di superstizioni e leggende (decisamente intrigante l’afturganga) da parte dei pescatori del luogo, dove una compagnia di turisti (cui appartenevano tutte le vittime, sia le prime due che le successive), aveva svolto una scapestrata quanto rischiosa escursione (finita con due morti); la seconda pista deriva invece direttamente dal simbolo presente sulle scene dei crimini, che conduce alla Società per lo studio degli scritti di Maximilien Robespierre, fondata e presieduta da François Châteu.

Strana Società, questa, che raduna periodicamente i quasi settecento iscritti e fa rivivere, in abiti d’epoca, i processi pubblici di Roberspierre, Danton e degli altri rivoluzionari (lo stesso Châteu sembra dotato di personalità bipolare, tanto è immedesimato nel personaggio di Robespierre quando lo interpreta nelle rappresentazioni storiche). La prima pista ruota attorno alle complesse figure di Amédée Masfauré, figlio di Henri, e di Victor, assistente di quest’ultimo, e si collega inequivocabilmente alla seconda pista nel momento in cui Adamsberg scopre che Henri Masfauré partecipava, così come la signora Gauthier, alle riunioni della Società Robespierre, e anzi ne era il più munifico sostenitore. Nonostante le evidenti convergenze e punti di contatto, difficile tuttavia districarsi in quella che il capitano stesso definisce spesso come una “matassa di alghe”, al punto che, a mio avviso, ne risente un po’ la narrazione.

Lo schema letterario del romanzo è chiaro, ma per quanto la scrittura della Vargas scorra via rapida, si arriva a una situazione di stallo, in cui sembra quasi che l’autrice si sia un po’ “incarata” su se stessa, nel tentativo di tenere in piedi proprio lo schema narrativo, che all’inizio del romanzo ne era sembrato il punto di forza. Il finale ovviamente non sarò certo io a svelarlo, ma mi è sembrato nel complesso un po’ tagliato, quasi che la Vargas volesse giungere a una rapida conclusione di tutta la vicenda.

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Andrea Camporese
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